Descrizione
Colobraro è un Paese arroccato su una collina del Preappennino Lucano di 665 metri di altezza da dove si può ammirare un fantastico ed affascinante panorama: verso Est con lo Jonio ed il Golfo di Taranto; verso Sud/Ovest con il Massiccio del Pollino e la confluenza di Sinni e Sarmento; a Nord col Nostro Golgota, il Monte Calvario.
La fondazione del Paese si dovrebbe ai Monaci Basiliani, che tra il IX ed il X secolo, fondarono il Cenobio di Santa Maria del Cironofrio, oggi Santa Maria La Neve, in quanto luogo di una neviera, o Santa Lucia.
Più probabilmente le origini del Paese risalgono al periodo Medievale, tra il X ed il XII secolo, con la realizzazione del Castello, intorno al quale successivamente si è formato il Centro Urbano. Infatti, intorno al XII sec. intorno al castello vennero edificati i primi palazzi gentilizi e la Chiesa Matrice di san Nicola di Bari, in stile romanico spurio a tre navate, ha contenuto dipinti di notevole fattura (pala d'altare). Intorno al 1.500 il Castello raggiunse il suo maggior pregio con gli ampliamenti e gli interventi artistico-architettonici voluti dai Principi Carafa della Stadera, splendore che proseguì sino all'abbandono del Castello dai parte dei Donnaperna.. Sempre nel 1.500 venne costruita la Cappella gentilizia dell'Icona quale corpo aggiunto alla chiesa Matrice, con chiari influssi orientali, anche al suo interno quadri di pregio, come il trittico della scuola di Giotto oggi al Museo Lanfranchi di Matera.
Tra il 1.500 ed il 1.600, fuori le mura, venne edificato il Convento dei Francescani dell'Osservanza. Annessa al Convento la chiesa intitolata al francescano Sant'Antonio da Padova, che potrebbe essere il rifacimento ed ampliamento seicentesco della vecchia cappella di S.S. Salvatore.
Il territorio, inoltre, è cosparso di varie cappelle in devozione di San Rocco, San Vito e della Madonna, particolare devozione ed altrettanto, appuntamento tipico per il nostro territorio, costituisce –appunto- la festa della Madonna del Bosco. Negli anni '70, viene progettata dall'arch. Nicola Pagliara dell'Università di Napoli, sulle macerie di una vecchia chiesa medioevale, la nuova Chiesa parrocchiale dell'Annunziata, in pietra di Trani e Cemento Armato che, all'apparenza, stride col contesto della pietra locale e dell'architettura tardo-medioevaleggiante, ma che di fatto costituisce un'opera ardita di notevole pregio architettonico (tanto da esser riportata su vari testi di storia dell'arte moderna).
Anche se il fiore all'occhiello di Colobraro è lo splendore della sua posizione ed i suoi panorami, affiancati ad un'eccezionale eno-gastronomia.
Solo da ultimo, Vi confessiamo che il nome COLOBRARO deriva da COLUBER, ossia LUOGO DI SERPENTI ovvero da "Columbarium" luogo di colombi. Anche se siamo sicuri che a tutti più del nome incuriosisce LA NOMEA Di Colobraro! deriva da una leggenda raccontata in tempi relativamente moderni, o meglio un aneddoto risalente agli anni '40 (1940) secondo il quale un notabile locale disse a Matera "Se non è vero quel che dico dovrebbe cadere il lampadario…" che pare dopo alcuni giorni cadde…. o più semplicemente e realisticamente: "Si accorse di un lampadario che stavasi staccando ed avvertì i presenti." Nella naturale rivalità tra Paesi limitrofi, questo, mai confermato accadimento, portò a Colobraro la nomea di "QUEL PAESE", in modo da non pronunciare il nome Colobraro: "foriero di jella". Storiograficamente, invece, Colobraro e tutta la Lucania furono oggetto di studi tra gli anni '50 e '57 da parte dell'antropologo Ernesto DE MARTINO. Da questi studi furono pubblicati, ad opera dello stesso antropologo, due saggi: "SUD E MAGIA" e "MAGIA IN LUCANIA".
La ricerca di De Martino era tesa ad una esplorazione etnografica delle rozze pratiche di magia cerimoniale lucana, con l'intento di comprendere la funzione psicologica della magia ed i motivi del suo perdurare, nonché i rapporti tra magia, devozione popolare e liturgia ufficiale (per esempio, era tipico delle abitazioni tenere in vista Santi e nel contempo amuleti, quali cornetti e ferri di cavallo). Ernesto De Martino cercava anche di comprendere come mai in quello che era stato il Regno di Napoli, compresa la stessa città di Napoli, la polemica antimagica illuministica dell'illuminismo europeo (illuminismo che riteneva dovesse esserci il predominio della razionalità su ogni forma di superstizione) non riuscì a far breccia nei circoli illuministi napoletani, i quali preferirono un compromesso di origine colta, che si estrinsecò nell'ideologia della "JETTATURA"; ovvero una disposizione psicologica tra serio e faceto (il classico brocardo di B. Croce "Non è vero ma ci credo); da ciò scaturì la figura ironica dello Iettatore (o del porta jella), come colui che inconsapevolmente e sistematicamente introduce il disordine nella realtà quotidiana.